(Italiano) Jacopo Ascari Atelier Milano – Progettualità e progetto a Milano
“Le città portano le stigmate del passato del tempo, occasionalmente le promesse delle epoche future”. Marguerite Yourcenar
Dalla fine dell’Ottocento ad oggi, Milano è cambiata radicalmente almeno tre volte. A ogni cambiamento ha corrisposto un cambio di scala: la volontà di aderire a quei più minuti ma pervicaci mutamenti di ideali e stili di vita che le cronache registrano col termine di “modernità” e cui anche la Moda ha contribuito e contribuisce. 14 tele accostano scenari architettonici, sperimentazioni progettuali e figurini di Moda, con l’obiettivo di rappresentare quella tensione verso il progetto che ha sempre “salvato” Milano trasformandole, e ancora una volta la salverà.
Le tre trasformazioni architettoniche
All’indomani dell’Unità d’Italia, il piano Beruto preparò le basi per l’espansione futurista della “città che sale”. Mentre allestiva l’armatura per incastonare il centro nella maglia reticolare della sua espansione metropolitana, la città cominciò a correre e – per l’Esposizione del 1881 – sembrò a Verga “la città più città d’Italia”.
Bisognerà attendere la fine del secondo Dopoguerra perché Milano, attingendo alla sua tradizionale attitudine al fare, diventasse la scena di un altro miracolo, trasformando l’hinterland in periferia e punteggiando lo skyline di “piccoli grattacieli”.
Dagli anni 70 agli anni 90 si vive una “paralisi d’idee” e soltanto in tempo recenti (Expo 2015) il dibattito sulla forma urbis è ritornato centrale in ogni aspetto della progettualità. Oggi più che mai ambiti nuovamente centrali per l’intera regione urbana lombarda sono al centro di visioni affascinanti ed emozionanti: il progetto architettonico di qualità torna al centro della vita pubblica e della comunicazione, suggerendo l’ipotesi di un potenziale “modello Milano” per l’urban planning contemporaneo.
Milano città della Moda
Quello che invece accende la progettualità degli anni 70 è più di tutto la Moda: la città infatti si pone dall’inizio del decennio come centro nevralgico di un vero e proprio “sistema italiano”, mediando tra le esigenze del pubblico e le regole della produzione industriale. A Milano, più che a Parigi o altrove, è forte il contatto con il design (vedi la grande mostra del 1983 al PAC “è design. Nuove frontiere e strategie del design italiano degli anni Ottanta”) e la sperimentazione di nuovi modi per intercettare i desideri del consumatore, innovando nelle strategie e nei linguaggi il punto vendita. In questi anni Milano diventa il luogo d’affermazione del Nuovo: circoli e alberghi sono le location delle nuove sfilate evento milanesi, che diventano vere e proprie proposte di stile e immagine. Nel 1976 Natalia Aspesi parla sulla “Repubblica” di questi nuovi riti, definendo il “vestirsi all’italiana” come sinonimo di “intelligenza, gusto e attualità”. Il sistema milanese “integra le azioni del creatore con quelle del comunicatore e trasforma la città reale in una proiezione di idee e visioni, in una città raccontata, fotografata e progettata dalle riviste e dagli stilisti.”
La mostra tenta di confutare attraverso alcuni painting come Milano, in relazione alla moda, possa divenire oggetto d’attenzione anche per il dibattito d’architettura (questo tentativo fu anticipato da Alessandro Mendini con il supplemento “Domus Moda” del 1981). I capi abitano scenari specifici milanesi e riflettono sul rapporto tra il progetto dell’ambiente e il progetto della moda. L’architettura diviene elemento per spettacolarizzare il racconto della Moda, racconto che, a Milano, ha sempre trovato terreno fertile per fiorire e dettare legge.